Come un figlio di siciliani ha creato a Brooklyn uno dei festival di street art più importanti del mondo
Come un figlio di siciliani ha creato a Brooklyn uno dei festival di street art più importanti del mondo
La storia è una di quelle che piacciono a noi. Ha emozione, ha forza, ti fa pensare.
Sento Joe Ficalora al telefono: sono pronto per una conversazione tecnica in inglese su un progetto che vogliamo realizzare a New York. Invece, nel giro di pochi minuti, tutto si trasforma in una splendida chiacchierata in siciliano, con una persona che ho l’impressione di conoscere da sempre.
Joe è americano. Ma è anche profondamente siciliano: parla siciliano, ha il cuore siciliano, ha una madre e un padre siciliani. Ed è la dimostrazione vivente di come il nostro eclettismo, la nostra capacità di accogliere e immaginare, possa cambiare il mondo.
Joe è uno di quegli italoamericani saldi sulle proprie radici che hanno contribuito a cambiare la loro Brooklyn e la loro New York.
Procediamo con ordine.
I genitori sono originari di Castellammare del Golfo. Joe nasce a Bushwick un’area di Brooklyn: un quartiere di New York con una grande presenza italiana, immerso in uno dei territori più etnicamente complessi al mondo. Brooklyn accoglie Italiani, Ebrei, Afroamericani, Latinos, Cinesi, Russi, Polacchi, Irlandesi, Arabi e mediorientali, Coreani.
È un contesto duro, violento. A 11 anni suo padre viene ucciso mentre torna a casa dal lavoro. Il rapporto tra Joe e il suo quartiere da allora non è semplice.
Poi, quindici anni fa, a soli 61 anni, muore anche sua madre, di tumore al cervello: una donna buona, accogliente, che aveva lavorato tutta la vita con dignità e fatica. La sua immagine — come quella del padre — era comunque inquinata dalla violenza e dal degrado di quei luoghi. Joe sentiva tristezza e amarezza: lei non lo meritava, come non lo meritavano gli italiani per bene associati al degrado di certe periferie americane.
Poi succede una cosa semplice e potentissima.
Joe passa davanti ai vecchi magazzini industriali della zona. Una di quelle facciate grigie che sembrano non dire niente lo colpisce. La guarda e pensa: “Questo muro potrebbe raccontare una storia diversa.”
È lì che scatta qualcosa.
Joe ci ha raccontato che non voleva che tutta la vita di sua mamma, fatta di sacrificio e amore svanisse nel silenzio generale di una società che macina tutto e va oltre.
Così nasce il primo murale. È un successo inatteso. E da lì prende forma il Bushwick Collective: un festival che, anno dopo anno, cresce grazie ad amici, artisti di tutta New York e poi del resto del mondo, fino a diventare oggi un momento di festa e di comunità per centinaia di artisti e migliaia di partecipanti, e a trasformare Bushwick in una meta visitata tutto l’anno.
Le regole di Joe sono poche e chiare:
– niente contenuti che possano offendere bambini, donne o imprese locali
– rispetto della comunità
– selezione basata sul talento, non sulla fama.
Al festival hanno partecipato artisti da tutto il mondo — giusto per dare un’idea:
Sef1 (Perù), Huetek (Brooklyn), Tymon de Laat (Paesi Bassi), Ashley Hodder (USA), Enzo (Francia), Atael McGregor (Denver), Robert Vargas (Los Angeles), Joe Iurato, Sipros (Brasile), Mr. June (Paesi Bassi), Ligama (Italia), Rosk (Italia).
Le pareti vengono rinnovate anno dopo anno: i murales sono temporanei, alcuni vivono qualche stagione, altri solo uno. Questo dà un dinamismo continuo all’intera area. L’idea che guida Joe è potente, i fiori vanno donati ai vivi, prima che ai morti, e quindi ha immaginato un festival in continua evoluzione che non si compiace di se stesso.
Nei giorni del festival il clima è quello di una famiglia: si ride, si dipinge, si gioca.
Una festa che in quindici anni ha trasformato Bushwick, uno dei festival di street art più importanti del mondo.
Con il suo lavoro, Joe ha letteralmente trasformato il suo quartiere ed è diventato un simbolo non solo per New York.
Ed ecco la frase che dovremmo tenere tutti a mente:
la storia di Joe dimostra che le radici non sono nostalgia, ma una forza che può rigenerare i luoghi, anche quelli che sembrano perduti.
Joe è un simbolo anche per chi vive in Italia. È la prova che le nostre radici possono fiorire ovunque, e che puoi essere americano e italiano allo stesso tempo.
La sua storia è universale: racconta che anche nel posto più orrendo del mondo, quello in cui ti hanno ucciso tuo padre quando eri bambino, quello che credi senza futuro, se trovi il coraggio di cercare il colore, altri verranno ad aiutarti. E il colore arriverà.
E potrai vedere fiorire dove prima c’erano solo macerie.
Abbiamo contattato Joe perché vogliamo celebrare a Brooklyn, nel luogo simbolo degli italiani a New York, Rosa Balistreri, nel centenario della sua nascita nel 2027, con un murale firmato da Giulio Rosk.
Fa parte del progetto Roots, attraverso il quale vogliamo raccontare nel mondo, con murales e opere d’arte, gli italiani che hanno segnato la nostra storia e le nostre radici.
La telefonata ci ha ispirati, Joe è lui stesso un testimonial perfetto del progetto Roots, e la telefonata non poteva che concludersi così: con un impegno reciproco.
Realizzare a Palermo un murale dedicato proprio a Joe Ficalora e al suo straordinario Bushwick Collective.




